Un cigolìo dentro e il ritratto costante di un’assenza.
Manca qualcosa di apparentemente indefinito per completare l’immagine.
Il disegno che abbiamo nella testa, pieno di luce, onde ferme e fiocchetti colorati, da una parte sbiadisce, i colori colano giù, escono dal quadro. E l’assenza diventa spazio vuoto in cui sprofondare.
Siamo piccoli, ma capaci di grandi ferite, siamo causa e conseguenza, siamo specchio e prisma.
Quella stessa ferita, quella cascata di spine nel cuore che deve aver provato Gesù quando, crescendo e cominciando a parlare con la “sua gente”, davanti a sé ha trovato un vuoto di coetanei. Semplicemente assenti, semplicemente “andati via” quando lui veniva al mondo, costretto per questo a vivere un’infanzia da migrante.
Eppure Gesù ha trovato parole anche per loro, che non c’erano più, ha costruito un senso e una proposta anche per gli assenti senza ritorno. Non è rimasto dietro al vetro di una finestra a illuminare quel buio di nascondimento con una flebile lampada da tavolo. Ha spalancato porte per far entrare aria nuova, ha gridato il suo amore per l’umanità, si è fatto “incontro”, senza lasciare nessuno indietro.
È da qui che dobbiamo ripartire. Trovare nuove parole per comunicare lo stesso Amore, diventare ponte per raggiungere anche i più fragili, condividere e vivere con chi ha svuotato le nostre sale, la vertigine che stordisce, che ammala i desideri, che arriva a gridare per cercare qualcosa che non trova, che striscia parallela alle certezze che non portano più a niente.
E allora è necessario un nuovo sguardo, una nuova cura, un nuovo atteggiamento, nuovi “processi mentali”, nuove azioni. Perché le ferite di chi non frequenta più le nostre strade siano le nostre ferite, perché gli slanci, le domande, i sogni, l’entusiasmo, i dubbi e le disillusioni di chi ci guarda ormai da lontano, trovino in noi accoglienza, comprensione, progettualità, voglia di trovare nuovi passi per percorrere la stessa strada.
Il tempo, sgocciolato da noi, che rincorriamo in affanno per paura di essere attirati in un vortice senza uscita, apre l’unico spazio condiviso dagli uomini: le ferite di una vita.
E allora tra feriti, mutilati e smarriti di cuore su questa terra solitaria, un piccolo ospedale da campo cammina tra la gente, aspetta tutti, si ferma e ascolta.
Ognuno di noi, per ognuno di noi, sotto la guida dello Spirito.
Tra vent’anni saremo ancora tutti qui… e i giovani insieme a noi.